Una cerimonia partecipata e commossa questa mattina per l’inaugurazione della pietra di inciampo intitolata a Carlo Castellani

27 Gennaio 2022

Il figlio Franco: “È la storia di uno che non c’entrava nulla e che non aveva fatto niente da poter finire nei campi di concentramento”.

Una piazza San Rocco gremita questa mattina per l’inaugurazione della prima pietra di inciampo posta a Montelupo e intitolata a Carlo Castellani. Tante le autorità presenti, ma molti di più erano i semplici cittadini e i ragazzi delle scuole e della scuola calcio del Montelupo.

Commovente l’intervento del figlio di Carlo Castellani, Franco. Proprio davanti all’abitazione dove vide per l’ultima volta suo padre.

«In tutto erano 21 quelli che furono potati via, 16 non tornarono più. Fra loro c’era mio padre, che è morto senza essere previsto: nella lista che avevano repubblichini e carabinieri c’era il nome di mio nonno, David, che quell’8 marzo era a letto con la febbre.

Pensando di essere tranquillo e di non avere nulla da temere si offrì mio padre al suo posto, rassicurato anche dalla guardia comunale, Orazio Nardini che gli disse che la mattinata successiva sarebbe tornato a casa.

Mio padre tornò indietro, salutò mia madre dicendole “ci vediamo presto” e mi diede un pizzicotto, dicendomi di fare il bravo.

Venne caricato su un camion pieno di gente che era già stata rastrellata. A Montelupo rimasero per un’intera mattinata in caserma, il maresciallo non si presentò e si fece fare un certificato medico. Da lì vennero trasportati a Firenze, dove alla stazione di Santa Maria Novella c’era un treno ad aspettarli, nessuna cuccetta, ma un cassone dove vennero stipate più o meno 60 persone.

Il treno partì e dopo 3 giorni, senza mangiare né bere arrivarono a Mauthausen.

Fecero l’appello e a ciascuna persona dettero un numero (lo conservo ancora); mio padre assieme ad Aldo Rovai furono trasferiti dopo due giorni al sotto campo di Gusen.

Lì lavoravano a diritto, il pasto consisteva in una brodaglia marrone che ricordava il caffè latte, un tozzo di pane, un po’ di margarina o di salame. Quello era il cibo per tutto il giorno. Dopo 3 mesi mio padre si ammalò di dissenteria, dimagriva a vista d’occhio. Il giorno prima che morisse Rovai andò a trovarlo, mio padre gli disse che stava male, ma non era agonizzante.

L’indomani Aldo Rovai tornò nella baracca e gli dissero che Carlo Castellani non c’era più era già stato cremato. Questa è la storia di un giocatore, di un uomo finito per caso e per generosità in un campo di concentramento. Doveva essere mio nonno al suo posto, loro lo presero comunque e sapevano benissimo dove andava».

Per il sindaco di Montelupo, Paolo Masetti è stata una giornata importante

«L’inaugurazione della prima pietra d’inciampo, il ricordo di Carlo Castellani, la presenza dei ragazzi e dei dirigenti dell’USC Montelupo Calcio e delle scuole medie credo che siano il miglior modo di celebrare il Giorno della Memoria. I testimoni diretti stanno purtroppo svanendo, quanto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale può sembrare un ricordo lontano ma purtroppo così non è. Basta solo ricordare che pochi giorni fa a Campiglia Marittima un ragazzo di 12 anni è stato aggredito perché ebreo da ragazze di poco più grandi, con epiteti vergognosi.

Solo lavorando sul tema della memoria assieme ai ragazzi possiamo scongiurare il ripetersi di eventi simili. Purtroppo a causa del Covid da due anni non è possibile organizzare i viaggi della memoria, un’esperienza unica per gli adulti e per i ragazzi perché visitare i campi di concentramento vuol dire confrontarsi direttamente con le atrocità commesse in quei luoghi.

Le pietre d’inciampo entrano da oggi nella vita di tutti i giorni e sono certo che saranno capaci di far riflettere e di suscitare interesse per le storie che stanno dietro ad ognuna di loro. La memoria è anche questo».